mercoledì 30 aprile 2008

Milano: è qui la festa!

«Quello dei telefilm è un filone inesauribile, anche quando sembra che tutto sia già stato raccontato gli sceneggiatori trovano sempre nuovi spunti» così Leopoldo Damerini, inventore e direttore artistico del Telefilm Festival, la cui sesta edizione si terrà a Milano dal 7 all’11 maggio, parla delle frontiere della sua più grande passione.
«Come dice il titolo del libro che ho scritto con Chiara Poli “La vita è un telefilm”:la routine quotidiana, si mescola al fantasy, come succede nel serial australiano H2O, le cui protagoniste sono delle sirene che si innamorano sulla Terra».
Accanto alle produzioni statunitensi, che da sempre spadroneggiano nel settore, emergono nuove interessanti realtà. «Presenteremo “Arab Labour”, una serie made in Israele che racconta la convivenza tra un’israeliana e un arabo, e la colombiana “No hay Paraiso”, storia di ragazze che vogliono ingraziarsi i narcotrafficanti, una sorta di “Soprano” rivisitati in una chiave che ricorda i film di Almodovar».
Il focus di quest’anno riguarda il sesso: «Dopo gli scandali che hanno segnato per un periodo la tv americana, ora le scene erotiche più esplicite tornano alla ribalta. Ma non è mai un esibizionismo fine a se stesso, il sesso è uno strumento per interpretare i sentimenti e le ansie dei protagonisti».

martedì 29 aprile 2008

Il nuovo volto di Torino

«Torino non è mai stata così bella» così Aldo Cazzullo, giornalista e scrittore, descrive la città in cui è nato e cresciuto in uno dei suoi libri più noti, Il mistero di Torino, scritto con Vittorio Messori.
Ha lasciato il capoluogo sabaudo nel 1998, quando Marcello Sorgi gli ha proposto di spostarsi a Roma per La Stampa. Nel 2003 si è riavvicinato, trasferendosi a Milano, per lavorare al Corriere della Sera: «A Torino ci sono le mie radici, ho visto il mio quartiere, quello di Via Bligny rinascere. Negli anni ’80 era un luogo di degrado frequentato da tossicodipendenti, ma attraverso la trasformazione degli anni ’90 è diventato il cuore della movida cittadina». I torinesi, da sempre tacciati di ipocrisia e falsa cortesia, non vanno criticati: «Il recupero della forma è una cosa positiva. Oggi l’educazione è vista troppo spesso come un esempio di debolezza, mentre in realtà è un valore che va apprezzato». Come la città, i suoi abitanti hanno cambiato umore:«Prima erano molto guardinghi, riservati, ora non si può dire che siano ottimisti, ma di sicuro non c’è più il pessimismo di una volta. Fino a qualche hanno fa eventi come la retrocessione della Juventus in serie B o la fusione Intesa-Sanpaolo sarebbero stati vissuti come veri drammi, invece si è cercato di vederne anche gli aspetti positivi». Qual è stato il punto di svolta? «Le Olimpiadi sono state un segnale del cambiamento, non il fattore scatenante. Più significativa è stata la scomparsa di Gianni Agnelli. La sua morte ha innescato una reazione che si è manifestata inizialmente con una grande dimostrazione di affetto e di solidarietà in memoria dell’Avvocato per poi tradursi in un impegno costante, in un lavoro alacre che ha portato alla ripresa della Fiat e al rilancio dell’immagine di Torino in Italia e nel mondo». E ora cosa succede? «Vorrei che i torinesi riscoprissero il senso del bene comune, l’orgoglio di aver fatto l’Italia. Stiamo assistendo ad un annacquamento di identità che va superato in funzione delle virtù civiche e del ritorno al rigore».

venerdì 18 aprile 2008

In nome dell'amore

Anche l’amore può uccidere. Anzi, a volte è proprio l’idealizzazione di questo sentimento che lo arma del suo potere distruttivo. E' l’eterno conflitto tra Eros e Tanathos. La letteratura, il cinema, la musica ci propongono spesso modelli astratti, che si rifanno a quello romantico, a cui tutti aspirano.
Di questa ambivalenza si torna a parlare all’Università. Se ne discuterà mercoledì 23 aprile alle ore 15 nella Sala Lauree della facoltà di Lettere e Filosofia a Palazzo Nuovo alla conferenza "Nel nome dell’amore" .
L’ospite d’onore sarà Aaron Ben Ze’ev, presidente dell’Università di Haifa ed esperto di filosofia della psicologia e teoria delle emozioni, che si occupa da tempo di questo tema. A Torino presenterà il suo ultimo libro In the name of Love: Romantic Ideology and its Victims scritto con Ruhama Goussinsky e pubblicato dalla Oxford University Press.
Professor Ben Ze’ev, perchè l’amore romantico può fare delle vittime?
«L’ideologia romantica presuppone livelli di amore altissimi e difficili da soddisfare. Molte persone non riescono a raggiungerli e si sentono frustrate all’interno della relazione. Concetti come "l’amore è eterno" o "l’amore non può fare niente di male" legittimano tutto ciò che viene fatto "in nome dell’amore", giustificando a volte anche comportamenti estremi. In realtà molti di noi, se non tutti, nel corso della vita sperimentano le conseguenze di questa prospettiva, ma spesso non ne sono consapevoli. La violenza psicologica può essere molto sottile».
Quali meccanismi trasformano l’amore in uno strumento di violenza e morte?
«L’amore romantico è comunemente considerato in termini positivi: l’innamorato cerca la felicità dell’amato. Ma questa felicità deve comunque includere sempre l’innamorato stesso. Persino Pablo Picasso ha detto: "Preferirei vedere la mia donna morta piuttosto che con un altro uomo". L’amore è per sua natura un sentimento egoista e questo genera una contraddizione interna. Si perde di vista la realtà, l’autonomia dell’altra persona si annulla e l’attenzione si concentra su piccoli dettagli insignificanti che vengono distorti e deformati dalle menti più deboli, che possonno arrivare a compiere gesti violenti».
Perché le vittime di queste violenze nella stragrande maggioranza dei casi sono donne?
«Di solito a commettere questi atti sono uomini lasciati, che non sanno elaborare il lutto e reagiscono in maniera irrazionale. La violenza e l’omicidio sono il sacrificio estremo in un’interpretazione dell’amore come fonte assoluta di senso. Le donne che arrivano a tanto, invece, di solito lo fanno per difendere se stesse o i figli dall’aggressione del compagno».
Di che cosa è fatto l’amore oggi?
«Al contrario dell’ideologia romantica, l’amore è fatto di compromessi, così come tutti gli aspetti che caratterizzano la società moderna. Oggi abbiamo troppa paura del futuro, per questo non riusciamo a vivere a fondo il presente tormentati da quello che potrebbe succedere domani».

giovedì 10 aprile 2008

Giochiamo pulito

Gli hanno chiuso le porte delle Olimpiadi di Pechino 2008. Motivo: tecnodoping. Lui è Oscar Pistorius, corridore sudafricano di 21 anni. L’atleta, amputato bilaterale, si avvale di protesi in fibra di carbonio che lo avvantaggerebbero. Il dibattito è aperto e nuove questioni sono state sollevate. Le ultime scoperte in campo medico e tecnologie sempre più avanzate ampliano il raggio di competenza dell’etica, spostando l’attenzione su elementi che prima non erano presi in considerazione. Tutto ciò si affianca al sempre presente problema del business che in più occasioni ha macchiato la correttezza delle competizioni sportive.
Dopo calciopoli e i casi di doping che hanno coinvolto atleti di grande successo, in Italia e all’estero, si risveglia l’esigenza di porsi delle regole. Su scala nazionale ma anche a livello locale le istituzioni hanno dato vita a numerose iniziative per sensibilizzare la coscienza pubblica sui valori dello sport.
L’Assessorato allo sport della Regione Piemonte ha avviato la campagna “Sport pulito” insieme al Coni e ad enti di promozione sportiva. Un decalogo di semplici norme di comportamento spiega il valore della competizione nel rispetto delle regole, l’importanza della solidarietà e della lealtà, i vantaggi della corretta alimentazione, il piacere di riuscire a superare i propri limiti psico-fisici senza ricorrere a sostanze che alterano le prestazioni sportive e che fanno male alla salute. Molti atleti, come Luigi Mastrangelo e Marta Capurso, sono testimonial della campagna e numerose squadre, sponsorizzate dalla Regione, portano sui campi di gara in Italia ed in Europa il logo dell’iniziativa.
Il Coni e le Federazioni sportive nazionali promuovono inoltre “Io non rischio la salute”, un progetto a tutela e salvaguardia del benessere per atleti, tecnici, medici, dirigenti dello sport, sui rischi del doping per scoraggiare l'uso di sostanze vietate e di metodi illeciti.
Se queste iniziative riguardano tutte le discipline sportive, un discorso a parte merita il calcio. E’ passato quasi un anno dalla morte dell’ispettore capo, Filippo Raciti, ucciso a Catania durante gli scontri fuori dallo stadio tra polizia e ultrà. In seguito a questo avvenimento che, insieme ad altri, ha minato alle fondamenta lo sport più diffuso in Italia è nato il progetto “Calcio domani”, di cui si occupa la cooperativa Solaris, sostenuta dalla Regione Piemonte, Divisione Sport. Ad esso hanno aderito tutte le società calcistiche professionistiche delle diverse province, che hanno sottoscritto la Carta valori. Nel project team che cura l’iniziativa ci sono tante personalità dello sport, della stampa e della cultura.
“L’educazione allo sport parte anche dai banchi di scuola - dice Mauro Sterpone, referente del progetto – e con questo intento nasce un’importante attività di Calcio domani, lo School Contest 2008, che ha lo scopo di coinvolgere gli studenti torinesi di primo e secondo grado, toccando circa 500 istituti in tutta la regione, per un totale di 180 mila ragazzi”.

Silvia Mattaliano e Stefania Uberti

La plastica è pop

Una rivisitazione ironica della plastica, nata negli anni Sessanta per simulare materiali naturali e adatta a tutti gli usi, disponibile in vari colori, economica e riproducibile. E’ questo il soggetto di “Pop Design: fuori luogo, fuori scala, fuori schema”, la mostra ideata e curata da Luisa Bocchietto ospitata dal 10 maggio al 14 settembre al Filatoio di Caraglio, nel cuneese. Un altro appuntamento previsto nel calendario di eventi per Torino Capitale Mondiale del Design 2008 realizzato in collaborazione con l’associazione culturale Marcovaldo. Con la plastica i vecchi schemi sono ribaltati, tutto viene messo in discussione da un modo diverso di vivere, condizionato dal consumo e dalla moda. Ciò che appare è, per questo tutto deve essere distinguibile, immediato, visibile, comprensibile e accessibile. Queste sono le parole chiave del linguaggio “pop”che, coniugandosi con la creatività del design, dà origine ad opere d’arte ingigantite, fuori scala, estrapolate dal contesto. Ironia, provocazione, gioco e divertimento sono gli ingredienti per sperimentare e sovvertire la realtà. Il consumo segue l’impulso, non la ragione: da questo prende spunto l’interpretazione. La mostra si divide in otto sezioni, caratterizzate da una parte didascalica, di racconto, e da una espositiva. Il percorso inizia con un riferimento alla letteratura, continua con l’attenzione alla focalizzazione dei dettagli e si concentra poi sulla plastica, sulla città e sul gioco. Uno spazio è dedicato al colore rosso, mentre un altro richiama la presenza degli animali e della natura.

martedì 1 aprile 2008

Gola Profonda

Come quelli che vanno nell’orto o nei boschi col coltellino svizzero, Bob porta sempre con sé un minuscolo cavalletto. Lui è Noto, e non solo di cognome. Ormai da alcuni anni è il fotografo per eccellenza dei piatti culinari e annovera tra i suoi successi l’ideazione del marchio di Gobino e le immagini delle opere dello chef Davide Scabin. Bob Noto, torinese, cinquantenne di ottima stazza, tre libri all’attivo, da trentasei anni appassionato di fotografie e da ventisette di gastronomia, mette subito le cose in chiaro: «Il peccato di gola non esiste». Perché? «Il piacere di mangiare è l’affinamento dell’istinto primario di sopravvivenza, ma non solo, è sempre un approfondimento culturale». Alla base della gola c’è un processo di conoscenza anche nella scelte più semplici: «Al bar – precisa - tra due panini devo sapere quale tra i due potrei preferire». Già in questa risposta si capisce come l’ironia sia uno dei suoi tratti distintivi. Il gioco è una componente fondamentale del suo lavoro, che per la precisione rimane sempre un hobby. Infatti, Bob continua a stare dietro al bancone nel negozio di utensileria di corso Bramante.
Il suo studio fotografico è a portata di mano, non ha bisogno di grandi fari o di abili assistenti, in una tasca tiene il cavalletto e nell’altra la macchina fotografica, rigorosamente digitale, una Casio 12.1 megapixel. Lo scatto avviene entro i due minuti e mezzo, «prima che il piatto si raffreddi» ama precisare: più istinto che messa in scena quindi, ma ogni volta problemi diversi da risolvere. Il risultato però non sono delle semplici still life, ma veri e propri ritratti. La giovane scrittrice Serena Guidobaldi lo ha definito il ritrattista della haute cuisine. Isolato dal contesto, il cibo è sospeso in un limbo bianco, che infonde una carica metafisica alla composizione.
E anche a proposito di effetti digitali Bob Noto non è per nulla un purista: «Fotoritocco a manetta. Il digitale è un formato veloce e flessibile. Finalmente, a differenza che con l’analogico, si ha un controllo totale dell’opera».
Gli intransigenti non considerano fotografia il suo lavoro. A lui va bene, e con una smorfia dice: «La chiamino pure illustrazione». Nessuna pietà, nemmeno per l’oggetto delle sue opere: prima scatta e poi divora. Ogni piatto che fotografa poi lo mangia. «Tra un buon piatto e un bel piatto - precisa - non c’è nesso, estetica e gusto non sempre combaciano».
Se si considera l’arte come forma di comunicazione la ristorazione per Bob Noto è la più completa ed esclusiva espressione artistica esistente. «In sala si può assistere ogni sera ad una messa in scena diversa, è come andare a teatro con il vantaggio che dopo lo spettacolo non devi preoccuparti di trovare una pizzeria aperta».

Mauro Ravarino e Stefania Uberti

venerdì 29 febbraio 2008

Same Mistake - James Blunt

So while I'm turning in my sheets
And once again I cannot sleep
Walk out the door and up the street
Look at the stars beneath my feet
Remember rights that I did wrong
So here I go Hello, hello
There is no place I cannot go
My mind is muddy but
My heart is heavy does it show
I lose the track that loses me
So here I go
Uhuh uhuh uhuh
And so I sent some men to fight
And one came back at dead of night
Said he'd seen my enemy
Said he looked just like me
So I set out to cut myself
And here I go
Uhuh uhuh uhuh
I’m not calling for a second chance
I'm screaming at the top of my voice
Give me reason, but don’t give me choice
Cause I'll just make the same mistake again
Uhuh uhuh uhuh
And maybe someday we will face
And maybe talk but not just speak
Dont buy the promises cause
There are no promises I keep
And my reflection troubles me
So here I go
Uhuh uhuh uhuh
I’m not calling for a second chance
I’m screaming at the top of my voice
Give me reason, but don’t give me choice
Cause I'll just make the same mistake
I’m not calling for a second chance
I'm screaming at the top of my voice
Give me reason, but don’t give me choice
Cause I'll just make the same mistake again
Uhuh uhuh uhuh Uhuh uhuh uhuh
So while I'm turning in my sheets
Uhuh uhuh uhuh
And once again I cannot sleep
Uhuh uhuh uhuh
Walk out the door and up the street
Uhuh uhuh uhuh
Look at the stars
Uhuh uhuh uhuh
Look at the stars falling down
Uhuh uhuh uhuh
And I wonder where
Uhuh uhuh uhuh
Did I go wrong?